Ordinanza n. 368/2001

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ORDINANZA N. 368

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI         

- Riccardo CHIEPPA  

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Fernanda CONTRI   

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK        

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 65 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), nel testo modificato dal decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, promosso con ordinanza emessa il 21 novembre 2000 dal Tribunale di Forlì, iscritta al n. 140 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2001.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 10 ottobre 2001 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto che nel corso di un giudizio di opposizione di terzo all’esecuzione esattoriale promosso nei confronti di un concessionario del servizio di riscossione dei tributi, il Tribunale di Forlì, con ordinanza emessa il 21 novembre 2000 e pervenuta in cancelleria il 7 febbraio 2001, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 65 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), nel testo modificato dal decreto legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, "nella parte in cui prevede che il titolo di proprietà opposto dal terzo avverso la pretesa creditoria dell’ente impositore debba avere data certa anteriore non al pignoramento ma all’anno cui si riferisce il tributo iscritto a ruolo e dal quale il pignoramento deriva";

che il giudice remittente – premesso che il tributo rimasto inevaso dal debitore era stato iscritto a ruolo nel 1995 ed era relativo a un credito fiscale di un anno antecedente – riferisce che l’ufficiale esattoriale aveva proceduto in data 22 aprile 1998 al pignoramento di alcuni beni mobili rinvenuti nell’abitazione del debitore e che i beni staggiti erano stati rivendicati dal terzo opponente, il quale, a sostegno del proprio diritto di proprietà, aveva prodotto un contratto registrato di comodato, stipulato in data 22 dicembre 1997;

che il Tribunale di Forlì ritiene che l’elemento temporale imposto dalla norma (l’anteriorità della reclamata proprietà del terzo rispetto all’anno di insorgenza del tributo) attinga la sfera della occasionalità e come tale sfugga alla previsione e al controllo del terzo proprietario: di qui l’incostituzionalità, in parte qua, della norma denunciata, atteso che l’esistenza di un debito tributario pregresso da un lato resterebbe ignota al proprietario, dall’altro assurgerebbe ad elemento essenziale per la inopponibilità del titolo di proprietà al creditore pignorante, preferito nel vincolare e sottrarre beni anche in danno del terzo proprietario solo perchè questi ha trasferito la detenzione di propri beni ad un contribuente moroso, ignaro della situazione debitoria di costui;

che nel giudizio dinanzi alla Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, che ha concluso per l’inammissibilità o comunque per la manifesta infondatezza della questione, ribadendo la richiesta in una memoria depositata in prossimità della camera di consiglio;

che la ragione di inammissibilità, precisata nella memoria, risiederebbe nel fatto che, a fronte dell’art. 16 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, con cui é stata sostituita l’intera disciplina del titolo II del d.P.R. n. 602 del 1973 che contiene la disposizione denunciata, il giudice remittente non avrebbe svolto alcuna deduzione in ordine alla eventuale residua applicabilità della disposizione previgente;

che, nel merito, la difesa erariale richiama i precedenti di questa Corte con cui sono state respinte analoghe questioni (sentenza n. 351 del 1998; ordinanza n. 455 del 2000), sul rilievo che una disciplina dei limiti in ordine alla prova della proprietà di beni pignorati nella casa del contribuente moroso, diversa da quella prevista per la comune esecuzione forzata, sarebbe giustificata, in relazione alle specifiche finalità del procedimento di esecuzione esattoriale ed alla posizione dei soggetti coinvolti, dall’esigenza di escludere la possibilità di fraudolente elusioni stabilendo la sostanziale inopponibilità al fisco di atti di alienazione, successivi al sorgere dell’obbligazione tributaria, di beni che permangono nella casa del debitore o in altri luoghi a lui appartenenti.

Considerato che l’ordinanza di rimessione investe l’art. 65 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 – nel testo anteriore alla sostituzione operata dall’art. 16 del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, ancora applicabile nel giudizio a quo, essendo la procedura esecutiva, sulla quale si é innestato l’incidente di cognizione, in corso al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina (v. art. 36, comma 9, d.lgs. cit., nonchè ordinanza n. 28 del 2001) – nella parte in cui, dettando una norma destinata ad operare anche nel giudizio di opposizione promosso dal terzo, prevede che il titolo dell’appartenenza del bene a persona diversa dal debitore, di fronte al quale soltanto si arresta l’attività dell’ufficiale esattoriale procedente, debba essere "di data anteriore all’anno cui si riferisce il tributo iscritto a ruolo", anzichè semplicemente al pignoramento;

che, pur in presenza di una costante lettura giurisprudenziale della norma denunciata, secondo cui il contratto di comodato dei beni pignorati nella casa di abitazione del contribuente moroso non é sufficiente a dimostrare il diritto di proprietà del terzo opponente sui medesimi beni, provandone solo l’affidamento, il giudice a quo solleva la questione di legittimità costituzionale concernente la data del titolo invocato dal terzo opponente, che si afferma consistente in un contratto di comodato, senza affrontare l’esame del profilo, logicamente preliminare, della idoneità e della sufficienza del titolo medesimo ai fini della dimostrazione della proprietà dei beni;

che, pertanto, la sollevata questione di legittimità costituzionale si palesa manifestamente inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 65 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), nel testo modificato dal decreto legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Forlì con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 novembre 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 16 novembre 2001.